Leonzio spadamozza – un Magistro d’Armi alla fine del ‘300
Leonzio Imeneo Spadamozza incarna la figura del magistro d’armi vissuto fra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo, operante nel territorio italiano del centro-nord.
Si tratta di un professionista – o sedicente tale – dell’arte della scherma, che veniva assoldato da privati, signori, confraternite come consulente militare o per insegnare loro il repertorio delle arti marziali occidentali diffuso fra la fine del trecento e l’inizio del ‘400: dall’uso delle armi inastate (azza, lanza, ecc.), alla spada a due mani e spada a una mano (con o senza brocchiero), alle armi corte come la daga o il pugnale, fino al combattimento con bastoni e a mani nude (abraçar), ecc.
A differenza dei suoi colleghi più rinomati (come ad esempio Fiore dei Liberi da Cividale), Leonzio Spadamozza non disdegna l’insegnamento della scherma anche a individui appartenenti a categorie sociali meno nobili di quelle dell’uomo d’arme medievale per antonomasia: il cavaliere.
In tal senso possiamo far rientrare lo Spadamozza nella schiera dei tanti magistri anonimi, presenti un po’ ovunque nelle città europee della fine del ‘300 che spesso si muovevano da un posto all’altro alla ricerca d’ingaggi o che impartivano per pochi danari lezioni sul maneggio di armi a pellegrini, mercanti, viandanti; magari in taverne o nei luoghi di sosta lungo le grandi vie di comunicazione. Nella maggior parte dei casi si trattava di ferraioli con qualche rudimento della pratica schermistica (veterani, tagliagole, uomini d’armi improvvisati, ecc.) che si tenevano ben lontani dai borghi in cui erano presenti gilde consolidate di magistri d’armi (soprattutto in area germanica) che esercitavano un certo monopolio sull’insegnamento della scherma in quel territorio, fino a rilasciare vere e proprie patenti di autenticazione della professione.
Al pari del grande Fiore dei Liberi da Cividale, suo coevo, anche Leonzio Imeneo Spadamozza millanta di poter insegnare l’arte della scherma in armatura e senza armatura (in armis et sine armis), a cavallo e appiedati (equester et pedester), oltre a conoscere le tecniche di combattimento di tutto il repertorio marziale del suo tempo. Sarà vero?
Il casato degli Spadamozza – una storia verosimile
Gli Spadamozza sono una famiglia fiorentina discendente della vecchia nobiltà feudale e costretta dagli eventi a lasciare il Comune toscano per rifugiarsi in terra di Lunigiana.
Nella prima metà del 1300 il casato segue la sorte di molte famiglie nobili appartenenti al gruppo sociale dei magnati: l’antica aristocrazia feudale sempre più condizionata dalla veloce affermazione della classe mercantile nel Comune di Firenze e dall’introduzione degli Ordinamenti di Giustizia del 1293 – 1295 che relegano progressivamente i nobili a un ruolo di secondo piano nel tessuto sociale cittadino, fino ad arrivare a un vero e proprio ostracismo dagli incarichi pubblici e all’esclusione dalla politica economica del Comune.
Per questo motivo la famiglia di Leonzio, al pari di tante altre casate nobili, è costretta a presentarsi davanti a una Commissione di cittadini rappresentanti i vari gruppi sociali, per chiedere di esserle riconosciuta la popularitas, cioè l’appartenenza al Popolo di Firenze; cosa che – qualora fosse accolta – comporterebbe il cambio in toto o in parte del cognome e delle insegne del casato, oltre alla perdita di diverse prerogative e al pagamento di cospicue somme.
Viene pertanto loro imposto di uscire dal proprio lignaggio con una denuncia di parentela, rompendo di fatto tutti i legami con il proprio passato feudale, disconoscendo gli antenati ma anche la tradizione mitologica conservata nel cognome e nell’araldica della famiglia.
L’acquisizione del riconoscimento della popularitas comporta di fatto la creazione di un nuovo nucleo famigliare, quasi completamente svincolato dal suo passato.
Si tratta di un regolamento statutario diffuso per tutto il XIV secolo, non solo a Firenze (dove decade nel 1434), introdotto al fine di spezzare la cosiddetta “solidarietà di lignaggio” e porre un freno all’arroganza della vecchia aristocrazia feudale, protagonista di violenze, vendette e agitazioni che turbavano l’ordine pubblico e la pace popolare.
La necessità di presentarsi davanti a una commissione, per lo più ostile (perché formata in gran parte da appartenenti da altre gruppi sociali che non nutrivano simpatie verso i magnati) è dettata dal fatto che l’ostracismo sociale a cui sono sottoposte le famiglie nobili mina pericolosamente la loro stabilità anche economica, oltre all’esclusione dagli incarichi di prestigio nell’ambito comunale con conseguenze disastrose per il proprio clan.
È probabile pertanto che la famiglia di Leonzio, anche in virtù delle passate simpatie guelfe (ben riconoscibili anche nei colori del casato – blu e oro, in riferimento ai colori ), si trovi costretta a presentarsi davanti ad una commissione del Populus attorno al 1340, nel periodo in cui l’avversione e l’accanimento verso gli ex magnati da parte dei membri della Commissione di Popolani comporta vere e proprie punizioni, ritorsioni e vendette, come il cambio del cognome a fini canzonatori e l’introduzione nella grafica delle cosiddette armi parlanti di elementi di dileggio o di vergogna.
È il caso, ad esempio, della potente e temuta famiglia fiorentina degli Squarcialupi, costretta dalla Commissione del 1349 a cambiare il cognome in Bernardoni – i discendenti del grosso Bernardo – e a sostituire il lupo aggressivo del loro anrtico stemma con l’immagine di un placido montone.
In questo senso si può supporre che il cognome originario della famiglia di Leonzio potesse essere Spadoni o più semplicemente Spada.
Lo stemma del casato, un leone rampante oro in campo blu, non viene bordato di nero – come spesso accadeva nei processi davanti alle Commissioni – ma cambiato in parte con l’inserimento di dell’elemento d’arme di una spada spezzata e monca nella zampa del leone, quasi a rimarcare la perdita dell’antico prestigio guerresco su cui probabilmente si era basata la mitologia di quella stirpe aristocratica.
Nel complesso alla nuova famiglia Spadamozza andò decisamente meglio di quanto non avvenne appunto a molte altre casate che, come abbiamo visto, subirono sorti peggiori.
La Storia di Leonzio
Il padre di Leonzio, Gaddo Spadamozza, valente uomo d’arme iscritto alla Corporazione del Cambio, nel 1350 decide di lasciare Firenze in tutta fretta, ritirandosi nei possedimenti luniganesi della moglie, Griselda Remedi, discendente di una prestigiosa famiglia genovese che aveva acquistato terre e dimore fra Sarzana e la Lunigiana.
Si pensa che la decisione di lasciare il libero Comune di Firenze fosse stata in parte dettata dal tentativo di sfuggire alla Peste Nera che fra il 1347 e il 1352 devastò l’Europa e in parte dal fatto che Gaddo era sospettato di aver appoggiato segretamente la rivolta dei Ciompi del 1348 per vendicarsi delle autorità popolane fiorentine.
Fu così che la famiglia Spadamozza si trasferì nei pressi di Pontremoli, dove Gaddo riunisce e addestra un piccolo gruppo di uomini, per lo più locali, a cui si aggiungeranno successivamente alcuni mercenari italiani, sbandati di ritorno dalla battaglia di Poitiers (1356 nell’ambito della Guerra dei Cent’Anni) e si mitte al servizio dei Visconti di Milano, signori in Lunigiana dal 1339.
La piccola Compagnia di Ventura di Gaddo Spadamozza, per quanto poco preparata e male in arnese, opera al soldo di Galeazzo II Visconti, partecipando alle battaglie contro gli imperiali di Carlo IV davanti a Milano, quindi successivamente nelle guerre contro gli Estensi di Ferrara e contro il comune di Mantova del Capitano del Popolo Guido Gonzaga.
Leonzio Imeneo Spadamozza nasce a Pontremoli nel febbraio 1355, ultimogenito di tre fratelli.
La madre Griselda muore piuttosto giovane, poco dopo la sua nascita, a causa di un’infezione a un piede non curata; il padre Gaddo porterà a lungo il lutto e non vorrà più risposarsi.
I due fratelli maggiori, Ludovico e Baldo, non legano con il fratello più giovane, troppo simile di carattere al padre stizzoso e irruento, e prendono strade completamente diverse dal genitore, diventando il primo un canonico al servizio del vescovo di Lucca Guglielmo Lodart, il secondo un mercante piuttosto abile che concentrò i suoi affari nella Repubblica di Genova, dove si trasferisce in giovane età senza più tornare in Lunigiana.
Leonzio, non dotato di particolari attitudini né nello studio, né nel commercio, vive fino ai 17 anni nei possedimenti lunigianesi della famiglia, dove il padre – sempre in viaggio per conto delle armi e dei danari dei Visconti – lo mette a bottega da un mercenario della Slesia, tale Joachim Krawiec (conosciuto semplicemente come il Cravio o il Tòdesco), veterano di guerra a servizio di diversi condottieri e signori non solo italiani, ormai troppo vecchio e acciaccato per seguire la Compagnia di Gaddo Spadamozza negli ingaggi di guerra.
Pur non essendo un vero magistro d’armi, il Cravio si occupa della formazione di Leonzio nella pratica della scherma, impartendogli lezioni di combattimento con diversi tipi di armi e trasmettendogli le poche nozioni pratiche di arte militare desunte dalle sue esperienze dirette sul campo di battaglia.
Dal canto suo il giovane Spadamozza si appassiona agli insegnamenti del vecchio mercenario senza però mostrare particolare propensione ad approfondirne lo studio presso qualche vero magistro riconosciuto, magari a Genova o a Pisa.
Pur essendo di origine nobile e dedito alla pratica delle armi Leonzio non sarebbe mai potuto diventare cavaliere, soprattutto per l’impossibilità di mantenere lo standard economico che quel titolo gli avrebbe imposto.
Ormai convinto che il figlio segua il mestiere delle armi e sarà quindi destinato a ereditare il rango di Condottiero o di Capitano di Ventura, nel 1372 Gaddo decide che sia giunto il momento di portarlo con sé in occasione di una delle guerre che Bernabò Visconti, fratello di Galeazzo II, aveva mosso contro gli Estensi. Il giovane Spadamozza pertanto ha il suo battesimo delle armi partecipando alla conquista di alcuni territori nel modenese e infine all’assedio di Asti.
È proprio in quell’occasione che Leonzio viene ferito alla gamba sinistra da una freccia delle truppe del conte Amedeo VI di Savoia, unitosi alla lega Pontificia contro i Visconti e corso a spezzare l’assedio della città piemontese.
Leonzio non si riprenderà mai veramente da quella ferita, restando parzialmente zoppo per il resto della vita.
Dal momento in cui viene ferito il giovane Spadamozza comincia a frequentare sempre meno i campi di battaglia, occupandosi piuttosto della formazione marziale degli uomini della Compagnia, arrivando così anche a preparare diversi individui per duelli d’onore, duelli giudiziari e tornei. Era diventato a tutti gli effetti un giovane magistro d’armi.
Gaddo Spadamozza muore nel maggio del 1376, colpito in un occhio da un verrettone di balestra nei pressi della città di Sarzana, in occasione di una scaramuccia con alcuni uomini del marchese Gabriele I di Fosdinovo.
La morte improvvisa del padre lascia Leonzio senza più sostegno e senza la capacità o l’esperienza per guidare una compagnia di ventura. Decide pertanto di scioglierla nel dicembre del 1378, proprio quando Jacopo Dal Verme, capitano generale delle truppe di Gian Galeazzo, nuovo signore dei Visconti, chiede un nuovo impegno di uomini e armi per affiancare Bernabò nella guerra contro i veneziani.
Leonzio paga cara la rottura del contratto con i Visconti e la successiva defezione dalle operazioni militari: i milanesi espropriano a titolo di risarcimento gran parte dei terreni e delle proprietà degli Spadamozza in Lunigiana, lasciando ben poco alla famiglia toscana.
Ciò che rimane dal saccheggio dei Visconti viene spartito come eredità fra i due fratelli maggiori che accusano Leonzio di essere responsabile della rovina del casato.
Caduto in disgrazia, senza risorse e possibilità di sostentamento, il giovane Spadamozza è costretto ad allontanarsi dal territorio di Pontremoli, cercando di procacciarsi impieghi come magistro d’armi, consulente militare, maresciallo di campo, ecc.
Nei successivi 15 anni Leonzio Imeneo Spadamozza attraversa l’Italia del Nord e buona parte della Francia, impartendo lezioni ai personaggi più disparati, passando da impieghi di prestigio presso signori locali, famiglie, confraternite e gilde di mestiere, a incarichi di rango più basso come il tagliagole, il campione prezzolato o la guardia personale di mercanti, di religiosi o di barattieri; contendendosi spesso il mercato di una piazza o di una taverna con prostitute e giocatori d’azzardo.
Nell’aprile del 1393 viene portato moribondo nell’Ospitale di San Lorenzo al passo delle Centocroci, sull’Appennino Tosco-Emiliano, gravemente ferito da diversi colpi di daga.
Si dice che siano stati due sicari mandati dai fratelli, venuti a sapere del fatto che Leonzio aveva intenzione di rientrare in territorio lunigianese per rivendicare la sua parte di eredità.
Lo Spadamozza resta fra la vita e la morte per diversi giorni poi miracolosamente si riprende.
Lui attribuirà sempre la sua guarigione all’intercessione di San Dimaco (protettore dei ladri, dei becchini, dei condannati a morte, ecc.) del quale vanta il possesso di un chiodo della croce, acquistato anni prima da un reliquino, tal Volpone Del Buonconsiglio, alle porte di Faenza.
Nel periodo di convalescenza presso l’Ospitale di San Lorenzo viene assistito da un giovane di nome Checchetto Sfrangfiballe, un popolano originario di Lavenza di Carrara che vive di espedienti e che si sposta di paese in paese alla ricerca di piccoli lavori o qualche piccolo furto da fare.
Leonzio lo convince a seguirlo, promettendogli d’insegnargli l’arte della scherma in cambio dei suoi servigi come uomo di fatica, attendente o tuttofare, prospettandogli una carriera remunerativa da uomo d’arme, magistro e soldato di condotta.
Iniziano così le avventure di Leonzio e Checchetto sulle strade dell’Europa medievale.
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